Montefalco porta questo nome che ha sostituito l'antico Coccorone o Concurione, proprio perchè Federico II lo attribuì al paese intorno al 1249-50, dopo il suo soggiorno. Oggi niente più falchi ma probabilmente il fascino antico di questo posto è rimasto intatto nei secoli. Il colle di Montefalco è il più elevato (473 m. sml) di un sistema collinare ai margini della Valle Umbra compresa tra Assisi e Spoleto e percorsa dal Clitunno e dal Topino. Le Fonti del Clitumno, sì... latenti suggestioni letterarie riaffiorano e ci riconducono a una serie di citazioni da Plinio a Byron, da Carducci a Goethe. Sono circondate da salici e pioppi, di innegabile suggestione, anche se il rio non è più navigabile fino al Tevere come un tempo. La città assunse la sua struttura razionale in epoca romana, fu sede di numerose ville gentilizie come quella del patrizio Marco Curione dal quale, secondo la tradizione, deriverebbe l'antico nome del luogo.
Fu tra l'XI e il XIV secolo che Montefalco ebbe il suo periodo di maggior splendore: artistico, economico e anche spirituale per l'intensa attività degli ordini benedettino, agostiniano e, naturalmente francescano, che qui ebbe un importante insediamento. Nel XVI secolo due flagelli: il saccheggio ad opera dei perugini Baglioni e una devastante epidemia di peste determinarono il declino della cittadina che oggi rappresenta, grazie anche alla sua struttura intatta e a un'intelligente valorizzazione delle tradizioni artigianali, agricole e gastronomiche, un'interessante tappa per il turista più attento. Cuore di Montefalco, raccolta dentro mura trecentesche, è la piazza del Comune, insolitamente circolare, vasta e sobria, con il Palazzo Comunale, edificato intorno al 1270, a cui vennero aggiunti successivamente il loggiato (XV secolo) e la torre (XIX secolo). La visita a Montefalco non può prescindere dal Museo Civico, ospitato nell'ex chiesa di San Francesco (1335 circa); sull'abside centrale si trovano i dodici riquadri raffiguranti la vita del Santo assisiate, dipinti da Benozzo Gozzoli (1420-1497) il pittore fiorentino che, dopo aver collaborato a lungo con il Beato Angelico, iniziò proprio a Montefalco un percorso artistico autonomo. Suo anche l'affresco della Cappella di San Girolamo, mentre l'Annunciazione e il Presepedi fronte sono del Perugino. Il Museo Lapidario ospita pietre e marmi scolpiti o incisi provenienti da un vasto territorio circostante, nella Pinacoteca comunale, si segnalano le opere di Francesco Melanzio da Montefalco, pittore legato alta Scuola folignate e all'Alunno. Dalla Porta Camiano (XIII secolo) si può godere il panorama sulla valle spoletina, mentre vicino alla Porta di Federico IIo di San Bartolomeo, si trova l'omonima chiesetta decorata con tralci e grappoli d'uva. E ancora: la chiesa gotica di Sant'Agostino, che conserva l'Incoronazione della Vergine attribuita a Ambrogio Lorenzetti; i conventi di Santa Illuminata e di San Leonardo, con opere di Francesco Melanzio; il santuario di Santa Chiara (edificato in epoca barocca sulla Cappella della Santa Croce, dove spirò Chiara da Montefalco) che ospita affreschi trecenteschi di scuola umbra. Infine una passeggiata di un chilometro attraverso la campagna conduce al complesso conventuale di San Fortunato dove sono conservati molti ritrovamenti archeologici di epoca romana.
Sale attraverso l'antica porta una ripida stradina, stretta e buia e ovunque si volga lo sguardo, ovunque si passi, tutto è antico, medievale, sassoso freddo e duro. Minuscoli vicoli ritagliati fra alte case di pietra grezza, antiche torri, portali, castelli, chiese e mura. Sulla sommità fui accolto da un vento freddo e tagliente. Imbacuccato nel mio mantello, ebbi una visione bella e toccante: oltre un'antica muraglia il paesaggio umbro, verde e luminoso, rinchiuso entro una possente cerchia di alti monti ancora innevati. Vicino o lontano, non c'è sguardo che non sfiori una località antica, celebre, sacra; ecco laggiù Spoleto, Perugia, Assisi, Foligno, Spello, Terni, e nel mezzo centinaia di luoghi minori, di villaggi, chiese, corti, monasteri, rocche e case coloniche: una terra ricca di storia, di monumenti romani e preromani, attraversata dal piccolo fiume Clitumno, del quale spesso leggevamo quando studiavamo latino... Ammutolito di meraviglia attraversai la piazza, uscii di città da una delle porte, rientrai da quella successiva, percorsi angoli e ripide stradine. Fuori città trovai un magnifico giardino che circondava una villa solitaria, attualmente disabitata e un po' fatiscente; lì riposai sotto vecchi cipressi, assistendo all'alternarsi di ampie chiazze di ombra e sottili strisce di sole nella verde vallata. Vidi Assisi e, nei pressi, la Porziuncola: luoghi sacri, trasfigurati dalia grazia e dall'incanto che San Francesco e l'antica arte umbra hanno infuso in questa terra. E poi mi misi a inseguire le tracce di quest'arte francescana oltre ad Assisi, non c'è luogo che offra migliore opportunità di Montefalco. Dentro chiese e cappelle, sopra portali a altari scoprii affreschi antichi popolati di delicate figure pervase di gioiosa devozione: stupende madonne misericordiose, graziosi santi giovinetti. Immagini sacre tratte dalla storia biblica e dall'agiografia, talune meste a severe, tal'altre ardenti di devozione, altre ancora ridenti di fanciullesca letizia...
Dove la storia del Sagrantino non ha mai subito battute d'arresto A Montefalco si percepisce il respiro profondo del passato, che si unisce a quello del presente. Tra le mura di conci rosati, lungo i vicoli stretti, protesi a guadagnare la grande luce della Vallata, poche viti di Sagrantino.
Tenaci, restano a segnare, nella continuità dei gesti e delle tradizioni, la sutura tra le epoche. Ancora opulente ad ogni vendemmia, esse raccontano di un'antica presenza di vigne domestiche cinte dai muri alti degli orti, testimoniano l'amore ininterrotto e costante, la predilezione duratura di Montefalco per questo vitigno che ne è simbolo, ricchezza, orgoglio. Seguirne le tracce attraverso il groviglio delle case strettamente addossate ai contrafforti avvolti da aloni d'ombra, è addentrarsi in un territorrio ideale e ritrovarvi, nella rara simbiosi tra vite e pietra, la suggestione della presenza umana, come restituita al quotidiano del Tempo. Nel luminoso largo della «Castellina» forti arbusti sarmentosi, creature vive, conservate dalla volontà attenta dell'uomo. In «via de' Vasari» sulle mura, come in una duecentesca sinopia, è scritto il continuo mutare del progetto dell'uomo, del sentimento di sé, delle sue aspirazioni. Le case vi si allineano quasi in processione silenziosa, si alternano a timidi orti coi muri di sasso e di calcina da cui sfuggono ombre di verde, a «chiuse» da cui la vegetazione prepotente trabocca sul caldo laterizio rosato. Dietro le porticine dipinte di antico, flagellate dal sole e dal gelo di mute stagioni, s'indovinano le vigne generose di un tempo, di cui resta il ricordo in brevi filari di vite. In questo borgo il connubio tra la vita dei campi e quella artigiana fu felice. L'intima natura di Montefalco è fatta di umiltà, rigore, forza, di tenaci legami con la terra, da sempre la sua vocazione. Davanti ad un antichissimo pozzo, a cui a lungo si è dissetata la zona, abbarbicate alla facciata delle case vicine, altre viti di Sagrantino. Accanto alle più vetuste, che allargano sui muri le loro braccia secolari, giovani vitigni da poco rinnovati, sorretti con cura da sostegni indolori: suggeriscono l'idea rassicurante di una gioventù pronta a sostituirsi alla vecchiaia per garantire la continuità dell'esistere, quella di un cammino parallelo tra uomo e terra, capace di perpetuare quel rapporto empatico che in passato l'uomo seppe vivere con l'ambiente, mantenendolo intatto per i posteri come un'opera d'arte.
Se non qui, dove? Non è un interrogativo, un dubbio: è la recherche che accompagnerà anche il più laico dei viaggiatori attraverso una geografia dello spirito tracciata dal genio, sostanziata dalla sacralità del creato. Se non qui, dove frate Francesco avrebbe potuto scrivere il suo vangelo della naturalità? E' una levità dell'anima ciò che vi resterà dall'incontro con luoghi dove la ruralità si fa eleganza, il paesaggio stupore, l'arte meraviglia e le architetture medievali si trasformano da arcigni edifici in delicati scrigni di umane vicende.
Non sarà per caso che la vostra madeleine sarà un calice di vino perché la recherche qua non è struggente introspezione, ma solare lettura del rapporto tra l'uomo e la terra. Il qui è Montefalco. L'hanno chiamata la "ringhiera dell'Umbria". Avvertite la peculiarità della parola: ringhiera. Evoca atmosfere domestiche e popolari, ha un ritmo brioso e un significato inclusivo. Perché Montefalco attrae: lascia al solo sguardo libertà di correre sul collinare orizzonte. La beatitudine degli occhi è il tema di uno spartito che armonizza arte eterna e secolare divenire, contrappuntato dai piaceri del bicchiere e del desco. Gli occhi che Benozzo di Lese di Sandro riempie di luce, di severità, di spirito. Quelli di San Francesco piantati in quelli di San Domenico, quelli del Cristo che si fa pellegrino, quelli dell'uomo semplice che implora lo Spirito. I nostri occhi catturati dal fresco della chiesa di San Francesco, un evento pittorico unico. E' il motivo del nostro viaggio attraverso il rinascimento umbro "scritto" da Benozzo a cui il Vasari dette il cognome di Gozzoli. Montefalco che del grande fiorentino, "dipintore" e allievo del Beato Angelico, è con Orvieto e San Gimignano il luogo d'elezione, gli dedica una mostra che è evento memorabile. Quasi mai si è proposta una così densa rassegna della pittura tra trecento e cinquecento nei luoghi dove essa si è prodotta. Tanto che gli affreschi della vita di San Francesco, narrati nella chiesa omonima che è anche sede della pinacoteca di Montefalco, diventano paradigma del paesaggio intorno. A cominciare da quell'ampolla di vino che Benozzo dipinge sulla tavola francescana. Ci parla del Sagrantino. E' il vino simbolo di Montefalco che si dice fu prodotto dai frati francescani per dir messa e di cui ancor oggi nel tessuto urbano resistono antichissime vigne dichiarate monumento vegetale. Le incontrerete vagabondando per le salite carraie, costeggiando l'antico Spedale, giungendo in piazza e salendo in cima alla torre del Municipio da cui si annuncia il capolavoro Umbria. Vista da lì sembra davvero un affresco del buon Dio. Leggiamolo dunque, come faremo con l'opera di Benozzo. A nord s'intravede Perugia, appena più sotto Foligno che alla "capitale" contese in armi e più volte la legazione di Montefalco. Foligno merita l'incontro perché del tessuto medievale conserva intatti non solo le strutture urbane ma anche gli usi. Assisi è oltre. La culla francescana appare da qua remota geograficamente, ma presentissima è la cultura del "poverello" che tuttavia il Gozzoli riveste di aristocratica ascesi. Così come aristocratico appare, guardando a Est, Spello. E' avvolto sul suo colle, con una sassosa eleganza. A Spello troverete un altro grande: il Pinturicchio nella chiesa di Santa Maria Maggiore. E non dimenticate la salita al Monte Subasio, suggestiva ascesa tra boschi e oliveti. Più prossima a Montefalco ecco Bevagna disegnata dal Clitunno (struggente è l'ingresso nella cinta muraria dagli antichi lavatoi) che ha un teatro gioiello e un'atmosfera d'antica nobiltà narrata dagli splendidi mosaici romani. E poi Trevi. Qui si racconta sommamente la civiltà dell'olio, qui il Pinturicchio e Giovanni di Corraduccio hanno lasciato mirabili tracce della loro arte, qui da Sant'Emilia godrete l'impareggiabile vista sulla valle del Clitunno che romanticamente aspetta di ammaliarvi alle sue Fonti e con il tempietto romano che celebra il dio delle acque. E' luogo che immaginerete popolato di Ninfe ed Elfi. Che l'immaginario pagano non contrasta con la sacralità francescana, perché complice l'armonia dei luoghi costruisce un'Arcadia del bello e del naturale. Guardando verso Spoleto (la città da sola vale una visita) ecco Castel Rittaldi, dove l'arte sacra di Tiberio d'Assisi è condensata dalla bella pieve di San Nicola. E ancora a raccontarci la ricchezza del paesaggio e dell'arte diffusa ecco Giano dell'Umbria che regala la visione della chiesa di San Michele, altro scrigno d'arte. Appena oltre sta Gualdo Catteneo di cui mirabile è la torre cilindrica e dove in Sant'Agostino troveremo un notevole affresco della bottega dell'Alunno, protagonista di tutta la scuola pittorica umbra quattrocentesca. Un'arte che racconta per immagini di questa millenaria civiltà rurale, ancor'oggi leggibile nei vigneti, nelle olivete, nei sapori d'Umbria. Di questi panorami il genius loci risiede nel ciclo di San Francesco a Montefalco. Benozzo, quasi avesse riscritto con la figurazione i versi del Cantico, narrò in quei "quadri" non solo la vicenda spirituale, la biografia del Santo, ma le sue terre. Ancor'oggi Fratello Sole le fa splendide di vita, sorella Luna le ombreggia di spirito. E' il vangelo di frate Francesco. Quello della natura. E se non qui, dove?
Il Museo Comunale di S. Francesco a Montefalco conserva il ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli con le storie della vita di S. Francesco: un'opera significativa non solo per il suo indiscusso valore artistico ma anche perché è fondamentale per comprendere il riferimento iconografico del Sagrantino di Montefalco. Il museo di S. Francesco rappresenta un'esperienza laboratorio per il sistema museale. Fra il 1983 e il 1990 è stato restaurato dalla Regione, procedendo per piccoli lotti successivi, e quindi riaperto, affidandone la gestione a 'Sistema Museo'. Si tratta di una cooperativa costituitasi nel 1990 con sede a Perugia, che presta la propria attività in diversi musei e circuiti, fornendo personale qualificato e organizzando una serie di attività per animare i musei. A Montefalco viene assicurata la manutenzione delle opere e della sede e vengono organizzate mostre, concerti e altre attività culturali. L'attività didattica con la scuola è intensa. Il bookshop del museo è ricco di pubblicazioni. La popolazione residente, oltre che i turisti, ha ricevuto benefici dall'attività, in linea con lo spirito regionale che vuole restituire i beni culturali ai cittadini. E' questo un esempio di come il comune di Montefalco sia al passo con i tempi. Abside centrale della ex chiesa di S. Francesco, oggi Museo civico di Montefalco Benozzo Gozzoli, Storie della vita di san Francesco, santi e personaggi dell'Ordine francescano, affreschi, 1452. Stato di conservazione e restauri. Il ciclo di Benozzo ha dovuto affrontare una lunga e avventurosa vicenda di trascuratezze, incomprensioni, danneggiamenti, che hanno messo in serio pericolo la sopravvivenza di questo testo pittorico tra i più importanti della pittura italiana del primo Rinascimento. Il terremoto del 1997 ha accentuato lo stato di dissesto della volta, causando il parziale distacco di un costolone, ma non ha danneggiato gli affreschi. In generale le parti originali del ciclo sono largamente conservate.
La committenza. Committente dell'opera fu fra Jacopo da Montefalco, guardiano del convento di San Francesco, ricordato nell'iscrizione dedicatoria e ritratto nell'episodio della Benedizione del popolo di Montefalco. A chiamare per primo Benozzo nella città umbra fu tuttavia fra Antonio da Montefalco, del 'rivale' Ordine degli Osservanti. Antonio conobbe 1'artista quando questi era impegnato in qualità di aiuto del Beato Angelico nelle decorazioni in Vaticano. Apprezzatene le doti, se ne garantì la presenza a Montefalco nel 1450, incaricando l'artista della realizzazione di opere sia su tavola che ad affresco per la sua chiesa di San Fortunato. Questi lavori dovettero evidentemente incontrare il gusto di fra Jacopo, se due anni dopo Benozzo venne chiamato a lavorare per la chiesa conventuale di San Francesco. Benozzo passò senza scosse a lavorare da una chiesa all'altra. I risultati a cui il pittore giunse furono profondamente diversi, poiché diverso fu il messaggio che i due committenti gli suggerirono. Le fonti. Chiamato ad illustrare la vita di san Francesco, Benozzo utilizzò il grande modello giottesco, ma se ne discostò, perché, su probabile suggerimento dello stesso fra Jacopo, fece riferimento a due noti testi francescani: la Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio, divenuta dal 1266 la biografia ufficiale del santo e la Leggenda dei Tre Compagni, che, facendo attenzione soprattutto alle vicende assisane di Francesco, costituì spesso un'importante fonte di ispirazione per la rappresentazione delle scene relative. Il ciclo. La vita del santo, dalla nascita alla morte, è illustrata in dodici scene disposte su tre registri. La narrazione procede, come un'ideale elevazione, dal basso verso l'alto e culmina nella volta con la gloria di San Francesco. Il motivo conduttore del ciclo è l'identificazione di Francesco come 'nuovo Cristo' (alter Christus), concetto centrale della spiritualità francescana. Il secondo registro riporta in un riquadro la scena di una cena, che ha come protagonisti S. Francesco e il Cavaliere di Celano, dal quale il santo era stato invitato. Sulla mensa sono rappresentate due bottiglie, una d'acqua e una di vino rosso e dal momento che frequenti sono i riferimenti agli avvenimenti contemporanei e a personaggi locali, come nella scena della Benedizione di Montefalco e del suo popolo, anche il particolare del vino rosso potrebbe essere interpretato come riferimento preciso alla produzione di Sagrantino di Montefalco, vino il cui nome deriva proprio dalla sua utilizzazione per l'impartizione dei sacramenti. Lo stile. Benozzo si trova per la prima volta a dirigere un cantiere pittorico dopo essere stato per molti anni alle dipendenze dell'Angelico a Firenze, Roma e Orvieto. La lezione del grande maestro è fondamentale per l'organizzazione del ciclo. Nell'adozione di particolari moduli compositivi, nella predilezione per certi tipi umani e nell'equilibrio del colore il ricordo degli anni in cui fu più vicino all'Angelico guida Benozzo in questa impresa. Tuttavia, come era avvenuto nelle sue prime opere montefalchesi in San Fortunato, l'appena trentenne Benozzo rivela nel ciclo francescano qualità assolutamente originali: un gusto più particolaristico del racconto, un uso del colore in funzione insieme espressiva e decorativa. La critica. L'attività umbra di Benozzo, del tutto dimenticata dal Vasari, venne particolarmente apprezzata nel corso dell'Ottocento, quando si tese a darne una lettura in chiave mistica. Le Storie francescane di Benozzo a Montefalco furono di rilevante importanza per la trasformazione in senso protorinascimentale della cultura figurativa in Umbria.